Pensioni d’oro, arriva la sentenza clamorosa: i tagli sono legittimi

Pensioni d’oro, i tagli stabiliti dalla legge non sono ritenuti sbagliati: cosa dice la decisione che è stata presa

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La Legge 30 dicembre 2018, n. 145 prevede i tagli alle pensioni d’oro. Contro essa hanno fatto ricorso i percettori e la Corte Costituzionale con il deposito dell’11 luglio 2022, dell’ordinanza 172/2022, li ha ritenuti inammisibili. La sentenza è stata emessa in Camera di Consiglio nella seduta del 23 giugno scorso 2022.

Le decisioni fondamentali che hanno sostenuto le questioni di legittimità costituzionale riguardavano “la domanda proposta nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del titolare del dicastero dell’Economua e dell’Inps.

Pensioni d’oro, a quanto ammontano

Ricordiamo che con l’espressione pensioni d’oro si intende un assegno previdenziale di importo particolarmente elevato, almeno sopra i 2.500-3.000 euro mensili. Non vengono perà così considerati quelli maturati con il metodo contributivo.

I titolari di questi alti indennizzi reclamavano l’integralità del trattamento, praticamente ricevere la pensione senza tagli imposti dalla legge e inserita in quella di Bilancio del 2019.

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La sezione giurisdizionale regionale per il Lazio della Corte dei Conti, con le ordinanze 54 e 55 del 2021, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della legge 30 dicembre 2018. In particolare degli articoli sulla “decurtazione percentuale per un quinquennio dell’ammontare lordo annuo dei trattamenti ivi previsti”.

Anche l’Inps e la Presidenza del Consiglio dei Ministri sono intervenuti rappresentata e difesa per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato. Entrambe le istituzioni hanno preso come riferimento la sentenza della Corte Costituzione n. 234 del 2020, di dichiararsi inammissibili o manifestamente infondate le questioni impugnate.

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Con la statuizione del Giudice delle Leggi è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge in questione, ritenendolo in contrasto con quattro articoli della Costituzione, i numeri 3, 23, 36 e 38.

In particolare nella parte in cui stabilisce la riduzione degli assegni “per la durata di cinque anni”, e non “per la durata di tre anni”; che, costituitosi in entrambi i giudizi, l’Inps ha formulato conclusioni analoghe. Così è stato in ragione della medesima sentenza sopravvenuta con il prelievo cessato a far data dal 31 dicemnre 2021.

Una sentenza che comunque potrebbe portare a una lunga discussione alla piena ripresa dell’attività politica dopo le ferie di agosto, quando il voto del 25 settembre sarà sempre più vicino.

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